Chiudo la mia personale trilogia di riflessione su Into the Wild con quest’articolo critico scritto da me e pubblicato nella sezione cinema di tesionline.
“La felicità è reale solo quando è condivisa…” Con queste parole si chiude un film magnifico firmato da Sean Penn e vincitore della sezione Premiere della Festa del Cinema di Roma. Queste parole mi hanno colpito come una scarica elettrica, e non perché fossero particolarmente belle o chissà. Perché da quel momento tutto mi è parso più chiaro.
Into the Wild è un film splendido. La regia lirica di Sean Penn, le musiche discrete e penetranti di Eddie Vedder, la storia di una ribellione e di un viaggio che tutti noi vorremmo fare, ma che non abbiamo il coraggio di intraprendere. Christopher McCandless ha avuto quel coraggio e ha seguito fino in fondo la sua vocazione. Ha viaggiato senza soldi, ha conosciuto uomini e donne, ha preferito la solitudine dell’Alaska ed è morto solo. Il suo viaggio ha illuminato lo spettatore, lo ha reso cosciente dell’artificialità del mondo in cui vive, lo ha fatto ricongiungere per un po’ con l’autenticità della Natura e dei rapporti umani.
Eppure Into the Wild rimane a mio avviso un capolavoro mancato. E la sua mancanza, paradossalmente, risiede proprio nel personaggio protagonista, quel Chris McCandless interpretato da Emile Hirsch. Non per colpa dell’interprete, ma per colpa del suo fascino. Sean Penn vede in McCandless un personaggio quasi mitico, un’icona della rabbia giovane e della ricerca della purezza, arriva a “venerarlo” cinematograficamente. Costruisce il film su di lui, non lo perde un attimo e lo segue fino in fondo. Lo guarda dolcemente arrendersi di fronte alla forza prorompente della natura selvaggia… leggi tutto